Stroncato a Taranto il clan Pascali: 38 arresti della Polizia

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Trentotto ordinanze di custodia cautelare (di cui 28 in carcere e 10 agli arresti domiciliari) sono state eseguite dalla Squadra Mobile di Taranto nei confronti di

altrettante persone presunte responsabili a vario titolo di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di altri gravissimi reati tra cui estorsione, detenzione e porto illegale di armi e munizioni, lesioni personali. Nelle indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, inoltre, sono indagate in stato di libertà altre 20 persone.
Svolta con il supporto – investigativo e di prevenzione – della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, l’indagine ha permesso di accertare come il noto clan dei fratelli Nicola e Giuseppe Pascali – già destinatario del “sigillo della mafiosità” duramente colpito dalla sentenza di condanna passata in giudicato nell’operazione “Città Nostra” – abbia continuato ad operare sotto la guida del capo storico e del fratello (personaggio non meno carismatico ed anzi ancor più violento del primo).
Le indagini hanno avuto inizio da un episodio avvenuto il 31 ottobre 2018 a Taranto nel quale due pregiudicati a bordo di uno scooter, colpirono con colpi di arma da fuoco gli arti inferiori di un giovane colpevole di aver richiesto l’amicizia su Facebook alla compagna di uno dei due.
Attraverso i colloqui tra i due fratelli, entrambi detenuti, gli inquirenti hanno ricostruito il ruolo attivo di molti affiliati ed in particolare delle moglie dei due alle quali veniva delegato il compito di veicolare all’esterno del carcere gli ordini e le direttive ricevute dai propri mariti.
Seguendo le precise disposizioni del coniuge, la moglie del capoclan storico era diventata la “reggente” in libertà di tutte le attività illecite del sodalizio e insieme alla cognata, aveva la funzione di “supervisore” delle estorsioni procedendo alla riscossione del denaro.
È emerso come il clan non avesse più bisogno di passare a gesti di violenza, anche estrema, per dominare il territorio, potendo godere di una fama criminale di tale portata da esercitare (soprattutto nella zona del Quartiere Paolo VI ed altre zone della città) il pieno controllo nei confronti sia dei partecipi sia della società civile, sia rispetto ad altri gruppi criminali “nemici” verso i cui sodali rivolgevano violente rappresaglie.
Significativo l’episodio in cui il fratello minore, all’interno del carcere di Foggia, ha violentemente aggredito il rappresentante di altro clan rivale, costringendolo a scrivere una lettera in cui rappresentava la volontà di dissociarsi dal gruppo criminale di appartenenza.
Principali fonti di reddito del clan erano il racket delle estorsioni ed il traffico di sostanze stupefacenti di cui si approvvigionava dal versante napoletano e da altri clan affiliati alla camorra. I sodali, organizzati in due gruppi criminali autonomi e indipendenti, riconoscevano ai vertici del clan una quota dei loro introiti, ossia una vera e propria “royalty” che assicurava loro di poter spendere il “buon nome” dei fratelli ed usufruire di canali di approvvigionamento di stupefacenti vicini agli stessi. Sono stati effettuati numerosi sequestri di ingenti quantità di droga, denaro, armi e munizioni. Tra gli altri, quasi 3 kg di cocaina, 200mila euro in banconote di vario taglio conservate anche in mazzette sottovuoto, armi e munizioni.
Rilevante anche il profilo delle estorsioni ambientali: ai due fratelli e le donne bastava evocare anche tacitamente l’esistenza e l’appartenenza al clan per ottenere settimanalmente somme di denaro per il sostentamento delle famiglie dei sodali.
Tra le vittime soprattutto titolari di esercizi commerciali per la vendita di automobili,
bar, pizzerie, ortofrutta, imprenditori nel settore delle bevande, nel settore dei mitili, titolari di imprese di pulizie, gestori di piazze di spaccio.
Oltre alle sostanze stupefacenti e le armi, sono state sequestrate anche numerose
lettere inviate al maggiore dei due fratelli in cui si esprime la vicinanza e la devozione al capo e si dà conto dell’attività estorsiva svolta in suo nome e prestigio.