Castellaneta: coppia di cicogna nera sorvola la gravina
Il secondo caso in Puglia negli ultimi 50 anni mostra l’importanza degli scrigni di natura selvaggia. È questa l’ennesima conferma dell’eccezionale valore naturalistico di uno dei numerosi solchi che tagliano come ferite di linfa la provincia di Taranto, in quel paesaggio straordinario e unico che è racchiuso nel Parco regionale «Terra delle Gravine»
Un evento più unico che raro. Un privilegio eccezionale. Una specie fantasma. Un avvistamento che dona speranza. Durante un’escursione d’un assolato mattino della scorsa settimana, sul fondo della Gravina di Castellaneta (TA), qualcosa ha attratto l’attenzione del nostro gruppo. Un volo planato e morbido. Silenzioso. Poco al di sopra dei boschi che ammantano la parete orientale della porzione più profonda. Lo sguardo in alto, incredulo. Poi il binocolo, per confermare un sospetto che nessuno osava chiamare per nome. Qualche scatto rubato in fretta e furia con una reflex già settata per la fauna acquatica. Ma poco importa. Ciò che gli occhi hanno visto e la macchina ha impressionato è già abbastanza.
Una coppia di Cicogna nera (Ciconia nigra) sorvolava le nostre teste a circa 150 metri dal fondovalle. Un’emozione incontenibile. Dopo qualche circonvoluzione e una rapida occhiata per accertare la nostra innocuità i due colli lunghi alati si dileguano al di là della vegetazione. La silhouette era inconfondibile: il petto bianco e le lunghe ali nere; il collo affusolato sporgente e le zampe rosse, come il becco appuntito, utile per pescare anfibi, rettili e pesci dagli stagni perenni della gola carsica.
È questa l’ennesima conferma dell’eccezionale valore naturalistico di uno dei numerosi solchi che tagliano come ferite di linfa la provincia di Taranto, in quel paesaggio straordinario e unico che è racchiuso nel Parco regionale «Terra delle Gravine». L’incisione orografica di Castellaneta, insieme a quella parallela di Laterza (anch’essa di estremo valore ecologico), è un luogo ove ancora la natura regna sovrana. La mano umana interferisce poco sui ritmi degli ecosistemi e quando gli incendi sono limitati e gli scarichi controllati la vita esplode in una miriade di colori tra coleotteri, lepidotteri, odonati, anfibi, uccelli, rettili e mammiferi. Scrigni di bellezza che annoverano specie come l’Ululone dal ventre giallo, il Tritone italico, la Natrice dal collare, il Granchio di fiume, il Nibbio reale, il Gufo reale, la Poiana, il Falco grillaio, il Passero solitario, il Cerambice delle querce, la Coenagrion mercuriale, la Melanargia arge, il Tasso e l’Istrice.
Ora un altro marchio di qualità: la cicogna nera. Una specie rara in Europa, rarissima in Italia, assente dalla Puglia da sempre, non avendo trovato le condizioni di selvaticità idonee alle sue abitudini. Sino allo scorso anno quando alcuni attivisti del Wwf di Martina Franca avvistarono una coppia nidificante e ne documentarono la presenza. Un episodio, una coppia coraggiosa che sfida la manomissione del territorio italiano alla ricerca della wilderness fu ritenuto allora. E, invece, era solo il preludio per una certezza: la cicogna nera nidifica e staziona in Puglia nell’area delle gravine.
A qualche decina di metri sulla parete da cui spuntavano i due esemplari, che a differenza della congenere Cicogna bianca hanno abitudini poco sinantropiche e ricercano luoghi di estrema selvaticità, un vasto incendio nei mesi scorsi ha devastato un’ampia porzione della macchia mediterranea che avvolge lo splendore dell’insenatura. Alle loro spalle campi coltivati, spesso intrisi di pesticidi. Dinanzi a loro il centro storico di Castellaneta, a strapiombo sulla grave. Poco più a nord i palazzi moderni dai colori stravaganti e l’appariscente ospedale.
In volo, nonostante tutta la distruzione del territorio, due aleatorie presenze. Due neri angeli che non portano bambini, ma un messaggio di speranza. Per ricordare all’uomo che la Natura ha voglia di sopravvivere. Che la bellezza vuole vivere. Che basta affacciarsi oltre il margine che separa l’illusoria tecnosfera dalla reale biosfera per ammirare ciò che temevamo di avere perso. Ciò che ritorna, per restare.
Articolo di:
Roberto Cazzolla Gatti, Biologo ambientale ed evolutivo