Taranto. Protesta dei lavoratori Ilva per dire NO ai licenziamenti

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Si sciopera all’Ilva di Taranto e nelle aziende dell’indotto, per quattro ore durante il primo turno.

Questa mattina i lavoratori dell’Ilva di Taranto hanno manifestato, in concomitanza del vertice al Mise in cui erano impegnate le Organizzazioni Sindacali di Fim – Fiom – Uilm – Usb, nel primo confronto col ministro Carlo Calenda, il viceministro Teresa Bellanova e i commissari.
“Alle 11,00 – si legge in una nota – oltre 2000 lavoratori, su una forza lavoro totale del turno di circa 3000 unità, hanno aderito allo sciopero di 4 ore proclamato dalle quattro sigle sindacali.
Numeri confortanti con una percentuale del 70% per le manutenzioni e 55% per l’esercizio.
La mobilitazione è stata compatta. I lavoratori, insieme ai rappresentanti sindacali di Fim – Fiom – Uilm – Usb, respingono con forza i numeri degli esuberi presentati da entrambe le cordate nei loro piani, che risultano così non negoziabili. Si dichiarano indisponibili a negoziare sui piani industriali presentati, poiché vanno riscritti garantendo salute,ambiente occupazione e salari. Ribadiscono, infine, la necessità di costruire una piattaforma rivendicativa che preveda il coinvolgimento della città. Ambiente, salute e lavoro sono imprescindibili per il rilancio di Ilva e della provincia ionica già fortemente in crisi”.
Nel corso dell’incontro di questa mattina presso il Ministero le organizzazioni sindacali hanno “chiesto di poter proseguire in modo più dettagliato il confronto sui contenuti di merito prima di procedere all’aggiudicazione. Il Governo ha dichiarato, che nel rispetto della procedura il confronto può proseguire solo dopo l’aggiudicazione. Il sindacato, unitariamente, ha espresso numerose criticità sul piano industriale, confermando la propria indisponibilità ad accettare licenziamenti.
Il Ministro ha confermato per lunedì 5 giugno la data ultima per la firma del decreto di aggiudicazione. Da allora si aprirà il confronto negoziale su tutti i punti del piano e l’esito della trattativa sarà vincolante per la validazione del conferimento.
Questo confronto sarà determinante per ridefinire gli aspetti inaccettabili fino ad ora emersi, a partire dagli esuberi paventati e per tentare di arrivare ad un accordo sindacale con líobbiettivo di modificare il piano industriale al fine di preservare líattuale líoccupazione del Gruppo e dell’indotto, garantire la sostenibilità ambientale, incrementare investimenti e livelli produttivi.
Tra oggi e lunedì sono state avviate mobilitazioni in tutti gli stabilimenti, a cui seguiranno assemblee informative e di confronto con tutti i lavoratori sui contenuti del piano e le nostre proposte di modifica”.

La protesta è stata decisa dal consiglio di fabbrica riunito dopo l’incontro del 30 maggio al ministero dello Sviluppo economico coi commissari del siderurgico, il ministro Carlo Calenda e la viceministra  Teresa Bellanova. Incontro durante il quale sono stati annunciati esuberi per circa 5-6 mila unità previsti dai piani di entrambe le cordate in corsa per l’Ilva, sia quello di Am Investco (ArcelorMittal e Marcegaglia con la partecipazione di Intesa San Paolo) sia quello di Acciaitalia (la cordata composta dall’indiana Jindal, Cassa depositi e prestiti, Arvedi e Delfin).

Per i sindacati dei metalmeccanici gli esuberi sono inaccettabili e i piani risultano così non negoziabili. “Vanno riformulati – scrivono Fim, Fiom, Uilm e Usb in un documento – garantendo salute, ambiente occupazione e salari”. Nei prossimi giorni, anche in base all’esito del nuovo incontro col governo, non sono escluse altre iniziative di protesta e assemblee in fabbrica.

Hanno scioperato oggi anche i lavoratori dipendenti del sistema appalto e indotto Ilva che,con la loro presenza fisica davanti alla portineria e con quella foltissima di lavoratori del Terziario associati, hanno rivendicato considerazione e pari dignità in un settore che al momento non è rappresentato, in quanto non convocato, al tavolo vertenziale aperto al Ministero dello sviluppo economico.
“Ovviamente – afferma Antonio Arcadio, Segretario generale FISASCAT – auspichiamo che il Mise prenda in considerazione anche la realtà del sistema appalto e indotto Ilva che conta dagli 8 ai 10 mila addetti.

Acciaitalia in una nota intanto precisa che il piano prevede, dopo una riduzione iniziale a 7.800 unità dalle attuali 10.100 in forza negli stabilimenti Ilva (al netto dei 4.100 già in Cassa Integrazione) un impiego stabile di tale numero di unità fino alla piena realizzazione del piano ambientale previsto. Si prevede quindi un incremento a 9.800 unità nel 2023, destinato a crescere a 10.800 unità nel 2024 (dato che fissa a 3.900 gli esuberi complessivi al settimo anno di attività della “nuova” Ilva”), peraltro con piena disponibilità a ulteriori assunzioni legate allo sviluppo del Gruppo siderurgico.
A tali forze, inoltre, si deve aggiungere, già a partire dal 2017, l’impiego di ulteriori 2.000 addetti alla realizzazione del piano ambientale, che saranno poi integrati negli organici dall’ILVA, non appena terminata la realizzazione del Piano Ambientale.
Per quanto riguarda, infine, il costo del lavoro Acciaitalia conferma che il dato medio è pari a 52.000 euro in parte allocati al costo del lavoro ed in parte previsti in appositi fondi di bilancio”.

“Occupazione, ambiente, piano industriale, innovazione tecnologica degli impianti: per il deputato DEM Ludovico Vico, componente della commisione Attività produttive della Camera, sono questi i punti su cui il Governo dovrà vigilare.
“Gli esuberi ipotizzati – afferma Vico – sono irricevibili e non coerenti con la ripartenza degli impianti ambientalizzati. Ancor più gravi sarebbero le conseguenze per tutti i lavoratori dell’indotto e degli appalti. Il Piano Ambientale esige un crono programma dettagliato e meno distanziato nel tempo. L’Aia 2 dovrebbe ripartire innanzitutto dalla copertura dei parchi minerari. Mentre il Piano Industriale deve inoltre prevedere un forte carattere di innovazione tecnologica a garanzia del processo di ambientalizzazione. Inoltre, per quanto riguarda le presunte deroghe salariali, i lavoratori Ilva di tutti gli stabilimenti presenti sul territorio nazionale sono una risorsa per il rilancio della produzione siderurgica diversamente dai casi di Piombino e Terni. E’ necessario avere la consapevolezza che tale vicenda si muove lungo un crinale molto impervio tra rischi di speculazione industriale e velleitarismi di un ambientalismo ideologico. Per questo il Governo è chiamato ad un di più di vigilanza e responsabilità”.
“Il ministro Calenda – conclude l’esponente Dem pugliese – dopo l’incontro con i sindacati, proceda ad emanare il decreto di aggiudicazione, sapendo che da quel momento il Piano Ambientale dovrà essere sottoposto a consultazione pubblica e il Piano Industriale ad accordo sindacale e la commissione antitrust Ue dovrà certificare la posizione non dominante dell’aggiudicatario”.

Per l’ 0n. Vincenza Labriola, capogruppo per il Gruppo Misto in commissione Lavoro alla Camera dei Deputati “quello che riguarda i lavoratori dell’Ilva nell’ormai prossimo futuro è uno scenario a dir poco sconfortante”.
“Innanzi a loro – afferma l’on. Tarantina – si profila una cessione che sarà sinonimo di lacrime e sangue, che renderà ancora più povero un territorio da lunghi anni brutalmente seviziato da una politica che agisce esclusivamente in funzione di interessi propri. Se è vero che le due cordate che puntano ad acquisire il controllo dell’azienda prevedono entrambe una serie di dolorosissimi tagli di forza lavoro, è altrettanto vero che Renzi prima, Gentiloni ora, nulla hanno fatto per dare ai lavoratori dell’acciaieria che perderanno presto il posto, una possibilità vera di riscatto. Nessun piano B, nessuna riprogrammazione, nessun intervento concreto per il rilancio dell’economia cittadina. Renzi ha la grave responsabilità di avere abbandonato a se stesso il capoluogo ionico, facendo prevalere su tutto gli interessi dei potenti, e di quella casta politica che fa da sempre uso di una pratica aberrante: il ricatto occupazionale. Quattro anni di commissariamento, nel segno del totale immobilismo, – conclude Labriola – hanno fatto il resto”.

“Le rassicurazioni sugli esuberi non bastano di certo. – dice la capodelegazione del MoVimento 5 Stelle, Rosa D’Amato, commentando i piani aziendali delle due cordate che dovrebbero rilevare l’Ilva di Taranto – La soluzione per evitare cassa integrazione e mobilità c’è: bisogna chiudere lo stabilimento e ricollocare i lavoratori con le bonifiche e la riconversione produttiva del territorio. L’Ilva non garantisce né lavoro, né futuro, ma solo inquinamento e morte”.
Per Rosa D’Amato un futuro per Taranto senza Ilva è possibile: “Abbiamo avanzato – afferma – una proposta che garantisce reddito e lavoro grazie a un programma serio di riconversione produttiva del territorio e all’utilizzo de fondi europei”.

Per il Sindaco di Statte, Franco Andrioli, l’impatto della notizia dei tagli al personale sulla cittadina è pari al tornado che la colpì nel dicembre del 2012.
“La mia comunità è in ginocchio oggi come allora – dice il sindaco – e oggi come allora subiamo le conseguenze di qualcosa su cui come territorio non abbiamo potuto esprimere una opinione o una preoccupazione”.
Andrioli, che ha preso parte al presidio dei lavoratori, si oppone dunque all’ipotesi di tagli sulla forza lavoro e denuncia l’estromissione da quel processo decisionale delle istituzioni locali.
“La mia comunità vive prevalentemente di  ILVA e aziende dell’appalto – spiega – e mentre a livello nazionale si assumono decisioni, noi come sindaci e amministratori locali, domani resteremo ad affrontare l’emergenza sul fronte estremo della crisi, senza sapere neanche di quali strumenti o di quali garanzie potremo usufruire”.