Taranto: arrestato Presidente della Provincia Gianni Florido

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Nuovo terremoto giudiziario a Taranto. Il presidente della Provincia, Giovanni Florido è stato arrestato dai militari della Guardia di Finanza, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del tribunale jonico Patrizia Todisco, su richiesta della Procura della Repubblica. In carcere sono finite altre due persone mentre una quarta è stata sottoposta agli arresti domiciliari. Si tratta dell’ennesimo capitolo dell’inchiesta sull’Ilva, in particolare del filone denominato ‘Ambiente Svenduto’. Per Florido, l’accusa è di concussione in relazione alla gestione da parte dell’Ilva della discarica Mater Gratiae. Il presidente della Provincia, 61 anni, ex sindacalista della Cisl, di cui e’ stato segretario provinciale, è esponente del Partito Democratico. Alla guida dell’Ente di via Anfiteatro dal 2004, ottenne la rielezione per il secondo mandato nel 2009.

gianni florido

Coinvolti in questi ultimi sviluppi giudiziari oltre al presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, anche l’ex assessore all’Ambiente Michele Conserva e l’ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, già detenuto dal 26 novembre scorso. La quarta persona arrestata, sottoposta però ai domiciliari, è l’ex segretario della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia, attualmente riveste il ruolo di segretario al Comune di Lecce. In questo filone d’indagini, guidata dal procuratore della Repubblica Franco Sebastio, non ci sarebbero altri nomi.
Gli intrecci tra la politica e la grande azienda siderurgica, dunque, secondo quanto scoperto sinora, riguardavano la questione delle autorizzazioni per la discarica ‘Mater Gratiae’ che si trova in una cava all’interno del perimetro dello stabilimento. Florido e Conserva secondo le accuse avrebbero esercitato indebite pressioni sui dirigenti del settore ecologia e ambiente della Provincia di Taranto affinchè rilasciassero le autorizzazioni, alla discarica gestita dall’Ilva dal 2006 al 2011, nonostante la carenza dei requisiti tecnico giuridici. Grazie a quelle autorizzazioni l’azienda siderurgica continuava a smaltire i rifiuti industriali pericolosi in un’area interna all’azienda invece di rivolgersi a discariche autorizzate e idonee all’esterno con conseguente aggravio dei costi.