Spaccio, riciclaggio e sfruttamento della prostituzione: disarticolata organizzazione criminale

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Alle prime ore di questa mattina, la Squadra Mobile, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 10 cittadini di nazionalità nigeriana (9 in carcere e 1 ai domiciliari), presunti responsabili a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla  detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e riciclaggio di denaro.

Per gli stessi reati risultano indagate altre 23 persone.

Si tratta, secondo quanto emerso da lunghe e meticolose indagini avviate nel settembre 2019, dei componenti di un’articolata e ben strutturata organizzazione criminale, dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti ed allo sfruttamento di giovani connazionali costrette a prostituirsi.

Gli investigatori ritengono che gli arrestati di oggi siano membri dei cosiddetti gruppi “cultisti” nigeriani a matrice religiosa: potenti e violenti clan nati e sviluppatisi nel paese centrafricano che hanno esteso le loro ramificazioni criminali anche  nei Paesi di emigrazione.

I traffici e le attività illecite sarebbero state gestite nel capoluogo jonico da “confraternite”, i cui componenti – come documentato negli ultimi anni – si sono a volte affrontati in scontri estremamente violenti per affermare la loro egemonia sul territorio e all’interno della stessa organizzazione.

Tra  questi  episodi, il più cruento avvenne, nell’agosto del 2020, nel centro cittadino  tra i componenti delle gruppi “Eyie” e “Black Axe” provocando anche ingenti danni ad una pizzeria.

 

Tre attività commerciali nel Borgo nuovo sarebbero state usate quali basi logistiche, punti d’incontro della comunità nigeriana e fulcro della gestione dello spaccio.

L’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti avveniva direttamente da connazionali residenti a Bari, registrandosi numerosi viaggi verso il capoluogo pugliese.

Ma anche per le cessioni dello stupefacente si prediligevano soprattutto cittadini nigeriani, considerati più sicuri ed affidabili, anche con modalità di acquisto agevolatrici quali la “cessione con la formula del credito”.

È plausibile ritenere che, nella capillare rete di spaccio presente sul territorio tarantino, operassero i pusher di “primo livello” incaricati della distribuzione al dettaglio della sostanza. In posizione intermedia, altri acquistavano la droga dai promotori per cederla al pusher “di secondo livello”, chiamati – a volte – a svolgere anche compiti di corrieri per il trasferimento dello stupefacente a Bari.

Ne emergerebbe un’organizzazione capace di riprodursi e di rivitalizzarsi anche dopo le numerose operazioni di polizia compiute dagli uomini della Squadra Mobile Jonica, che hanno portato nel tempo a consistenti sequestri di droga ed ai conseguenti arresti in flagranza di alcuni loro componenti.

Altro settore illecito in cui avrebbe operato l’organizzazione criminale è quello del riciclaggio di denaro, verosimilmente ricavato dalle attività di spaccio, attraverso circuiti finanziari “criminali” per il trasferimento del denaro in Nigeria.

Si tratta, in sostanza, di utilizzare “sportelli clandestini” per il versamento in Italia e per il successivo prelievo in Nigeria, con la garanzia di veloci tempi di consegna, talvolta immediati, garantendo al contempo l’anonimato del cliente e la possibilità di trasferire somme illimitate.

Per questa operazione, la struttura criminale si avvaleva del titolare di uno dei negozi coinvolti al quale veniva materialmente consegnato il denaro che veniva trasferito con bonifico online da una banca nigeriana in favore del conto indicato dal committente, acceso sempre in altra banca nigeriana.

Il denaro in contanti veniva “conservato” insieme ai versamenti cash di altri membri e, raggiunta una somma di un certo rilievo, veniva trasferito fisicamente in Nigeria anche mediante corrieri.

Dalle indagini è emerso inoltre che uno dei negozi individuati veniva utilizzato come punto di ritrovo per contattare direttamente o ricevere la disponibilità di ragazze nigeriane, costrette a prostituirsi in un appartamento cittadino.

Sembra anche che all’interno dell’appartamento fosse assicurato un ricambio costante e ciclico di donne le quali cedevano al gestore dell’attività illecita una percentuale del loro incasso.