San Pietro in Bevagna: non è un molo antico…si infittisce il mistero sulla struttura sommersa

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Alcune settimane fa, Fabio Mattacchiera, presidente del Fondo Antidiossina, aveva mostrato al mondo un video girato nelle profondità del mare di San Pietro in Bevagna in cui venivano mostrati dei blocchi allineati ritrovati al largo di San Pietro in Bevagna.

Inizialmente si pensò di essere di fronte alla scoperta di un antico molo risalente ai tempi dei greci o dei romani nelle acque del Golfo di Taranto. Oggi le ultime rivelazioni degli esperti nel corso di una conferenza stampa. Erano presenti: Salvatore Marzo (Dirigente Scolastico), Giuseppe Mastronuzzi (Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università degli Studi di Bari. Laura Masiello (Soprintendenza Archeologica della Puglia), Fabio Matacchiera (scopritore della struttura sottomarina).
Gli elementi raccolti però nel corso delle immersioni non erano sufficienti a stabilire con precisione di cosa si trattasse. Così Fabio Mattacchiera ha deciso di chiedere il parere agli esperti archeologi e ad informare immediatamente la Soprintendenza Archeologica della Puglia con sede a Lecce.
Diversi i professionisti coinvolti
Il Prof. Giuseppe Mastronuzzi, ordinario di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Sostituto del Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali della stessa Università ha spiegato perché dal punto di vista paleogeografico, la scoperta avrebbe un elevato valore scientifico in quanto rappresenta una novità nella ricostruzione del paesaggio costiero. Si tratta di una beach rock ovvero una roccia di spiaggia. Nelle immagini diffuse da Matacchiera si vedono blocchi allineati per una lunghezza di circa 2000 metri per una larghezza di 120 m. Sarebbe in pratica una spiaggia che nel tempo si è prima depositata e quindi rapidamente cementificata per poi essere sommersa dalla variazione del livello del mare.

“E’ una scoperta molto importante – ha affermato – il prof. Mastronuzzi – perché pur nella normalità di evidenza di questo tipo lungo la costa pugliese nel caso della beach rock di San Pietro in Bevagna siamo presenti di fronte ad una struttura che ha una dimensione importantissima circa 2 km e mezzo x 40 m che esprime nella sua formazione un processo che è avvenuto nel recente passato e che indica senza ombra di dubbio una precedente posizione del livello del mare.

La scoperta sarà utile nella “ricostruzione regionale del paesaggio costiero nel corso del Pleistocene superiore e nell’Olocene cioè per gli ultimi circa 132mila anni dal presente. In particolare essa rappresenta un’importante chiave di lettura nella ricostruzione della dinamica del livello del mare in relazione alle profonde variazioni del clima avvenute in questo intervallo di tempo e al comportamento tettonico di questa parte della regione Puglia nel complesso quadro geodinamico dell’intero bacino del Mar Mediterraneo. L’esame delle forme a seguito di una serie di immersioni dirette effettuate nelle acque prospicienti San Piero in Bevagna e i primi risultati derivanti dall’esame di rilievi satellitari e di rilievi ortofotogrammetrici indicano che la struttura è composta da un corpo litoide, tenace, oggi costituito da blocchi eterometrici apparentemente allineati per una lunghezza totale di circa 2100 m e per una larghezza media di circa 120 m ad una profondità variabile fra i 5 e i 7.5 m rispetto al livello medio marino. I blocchi eterometrici raggiungono dimensioni di 5x7x1m e a seguito di una stima del peso specifico della roccia, una calcarenite bioclastica molto ben cementata, è possibile stimare il loro peso massimo in circa 90 tonnellate. I blocchi sono parte di una struttura geomorfologica detta beach rock (letteralmente ‘roccia di spiaggia’) che si forma in ambienti di spiaggia a cavallo della zona intertidale (fra l’alta e la bassa marea) lì dove corsi d’acqua e sorgenti sottomarine (quale appunto il Chidro) siano capaci di immettere in mare acque estremamente ricche di carbonato di calcio.
Il prof. Mastronuzzi nel suo intervento scende nei particolari: “In ambiente intertidale, la percolazione dell’acqua marina arricchita in CaCO3 e l’evaporazione durante la bassa marea permettono che lo stesso CaCO3 cementi con una caratteristica disposizione a menisco i granuli della sabbia della spiaggia secondo un processo di “cementazione precoce” che avviene in poche decine di anni. La struttura sommersa rappresenta quindi una spiaggia che nel tempo, durante la sua formazione, si è prima depositata e quindi rapidamente si è cementata per poi essere sommersa dalla variazione del livello del mare. Quest’ultimo fenomeno non deve apparire anomalo. Durante il periodo glaciale, circa 20mila anni dal presente, il livello del mare era circa 120/140 m più basso dell’attuale. Con il riscaldamento globale del pianeta e con la fusione delle coperture glaciali il livello del mare è rapidamente salito sino a raggiungere circa 7mila anni fa la profondità di circa 7 m. A partire da allora il livello del mare ha raggiunto la posizione attuale con un sollevamento più lento che ha permesso la formazione della spiaggia e gradualmente la cementazione del corpo calcarenitico a formare appunto la beach rock oggi visibile. Nel tempo il corpo geologico adattandosi al fondale preesistente e impattato dal moto ondoso si è “rotto” a simulare la disposizione ordinata di blocchi eterometrici, a volta casualmente molto simili fra loro e apparentemente disposti in maniera ordinata, quasi ‘umana’. Simili strutture subacquee sono oggi visibili nell’insenatura di Porto Cesareo e subito a sud di Gallipoli presso Isola delle Pazze e verso Ugento. Esempi simili sono presenti in Italia lungo le coste della Calabria, della Sardegna e della Sicilia ma anche in Grecia, in Spagna, Tunisia e in diversi siti mondiali caratterizzati da acque calde con abbondante contenuto in CaCO3. Il corpo sommerso trova un omologo sulla spiaggia attuale, lungo tutto il litorale che va da Porto Cesareo a Campo Marino.”
La scoperta naturalmente merita ulteriori approfondimenti: “Gli studi in corso ad opera dei ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ sono tesi a evidenziare la continuità del corpo geologico mediante una serie di indagini geofisiche subacquee che avranno luogo non appena i mezzi nautici dell’Università saranno disponibili per diversi giorni di campagna idrografica in quel tratto di mare. In laboratorio, – conclude – oltre a definire al meglio le caratteristiche sedimentologiche del corpo roccioso, saranno effettuati studi che permetteranno di avere una data, cioè di posizionare nel tempo la posizione del livello del mare a quella profondità. Tali dati saranno di estremo interesse per ricostruire il comportamento del livello del mare lungo le coste ioniche salentine in relazione alle recenti variazioni climatiche e per migliorare i modelli geofisici di variazioni del livello del mare definiti per costruire scenari del suo prossimo sollevamento e del suo impatto lungo la fascia costiera”.
Foto Max Perrini