Gabriele Plumari e la rivoluzione dell’educazione gentile

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In un mondo in cui educare alla gentilezza diventa un compito sempre più importante, la missione di un autore di narrativa psico-pedagogica si fa strada: portare avanti un percorso educativo e di sensibilizzazione verso genitori, insegnanti e istituzioni perché non ci si soffermi sulle nozioni, ma su una vera e propria educazione gentile. Abbiamo incontrato Gabriele Plumari, autore dei libri “Paolo e i Quattro Mostri” e “10 – La Perfezione dell’Imperfezione”.

Che valore ha l’educazione emotiva nella formazione di un bambino?
L’educazione emotiva è un pilastro essenziale nella crescita di un bambino, perché gli permette di  sviluppare competenze fondamentali per la vita: la consapevolezza di sé, la gestione delle emozioni, l’empatia e la capacità di costruire relazioni sane. Viviamo in una società che enfatizza il rendimento scolastico e le competenze tecniche, trascurando aspetti altrettanto cruciali come il benessere psicologico e la capacità di affrontare le difficoltà emotive. Eppure, come dimostrano le ricerche di Daniel Goleman, un bambino che sviluppa un’adeguata intelligenza emotiva diventa un adulto più resiliente, sicuro di sé e meno soggetto a problemi di ansia, frustrazione o isolamento sociale. L’educazione gentile dovrebbe essere una materia scolastica al pari della matematica e dell’italiano, perché un bambino che impara a riconoscere e gestire le proprie emozioni diventerà un adulto più consapevole, empatico e capace di affrontare le sfide della vita con maturità e coraggio.
Lei è manager e autore di narrative psico-pedagogiche: come si approccia al percorso educativo?
Mi impegno attivamente a promuovere l’educazione gentile attraverso i miei libri, la stampa e tutti i mezzi di comunicazione a mia disposizione. Credo fermamente che la scuola debba evolversi, integrando strumenti che aiutino bambini e ragazzi a comprendere meglio sé stessi e gli altri, prevenendo fenomeni come il bullismo, la violenza giovanile e il disagio psicologico. Il mio obiettivo è costruire un ponte tra teoria e pratica, offrendo non solo spunti di riflessione, ma anche soluzioni concrete per un sistema educativo più umano, inclusivo e attento al benessere emotivo delle nuove generazioni.
Qual è il messaggio che vuole trasmettere con i suoi libri “Paolo e i Quattro Mostri” e “10 – La  Perfezione dell’Imperfezione”?
Attraverso i miei libri voglio raccontare realtà difficili, che purtroppo sempre esistite, per trasmettere al lettore il dolore di chi cresce in ambienti ostili e le conseguenze che questo può avere sulla vita di un individuo. Paolo e i Quattro Mostri affronta il tema delle paure interiori e delle difficoltà psicologiche che  molti ragazzi vivono. I “quattro mostri” rappresentano le ferite invisibili di Paolo: il bullismo, la violenza, l’abuso e il bisogno disperato d’affetto, che lo porta a rifugiarsi nel cibo, trasformandolo nel suo quarto mostro.
10 – La Perfezione dell’Imperfezione ruota attorno al concetto che la perfezione è un’illusione. In una società che, attraverso i social media, ci impone standard irraggiungibili, il vero valore risiede  nell’accettazione di sé e nella capacità di trasformare le proprie fragilità in punti di forza.
Qual è il filo conduttore dei suoi testi?
Il vero filo conduttore è il bisogno urgente di un cambiamento nell’approccio educativo. Troppo spesso l’educazione si basa su modelli rigidi, focalizzati esclusivamente su nozioni e risultati, ignorando completamente l’intelligenza emotiva. Ma i giovani di oggi non hanno solo bisogno di regole e conoscenze, hanno bisogno di adulti – genitori, insegnanti, educatori – che li guidino con empatia, che insegnino loro a gestire le emozioni e a costruire relazioni sane.
Il mio messaggio è chiaro: noi adulti dobbiamo essere i primi a volere questo cambiamento, a  comprendere che un’educazione senza amore e rispetto non può funzionare. I giovani hanno bisogno di modelli positivi, di adulti che li ascoltino davvero e li aiutino a sviluppare empatia e resilienza. La gentilezza non è debolezza, ma una competenza fondamentale per costruire un futuro in cui le persone siano più consapevoli e rispettose. Se vogliamo una società migliore, dobbiamo ripensare l’educazione, mettendo al centro la gentilezza e la gestione delle emozioni.
Come definirebbe il suo progetto?
Ambizioso. Tortuoso. Una missione difficile, ma necessaria. Quella che porto avanti è una rivoluzione educativa, un progetto che mira a trasformare il modo in cui formiamo le nuove generazioni, aiutandole a sviluppare consapevolezza emotiva, empatia e relazioni più sane.
Voglio dimostrare che un’educazione diversa è possibile. Ma non bastano le parole: servono azioni. C’è bisogno di un vero cambiamento culturale, di una nuova visione educativa che renda le future generazioni più serene, consapevoli e forti di fronte alla vita. Il mio progetto vuole contribuire a questo cambiamento. Perché le storie che racconto non dovrebbero più esistere.
Come possiamo aiutare concretamente i ragazzi a trovare la strada della gentilezza?
Per guidare i ragazzi verso la gentilezza, dobbiamo partire da un cambiamento profondo nel modo in cui li educhiamo. 
Essere noi stessi un esempio. 
I ragazzi imparano più dai nostri comportamenti che dalle parole. Se vogliamo che siano gentili, dobbiamo esserlo noi per primi: in famiglia, a scuola, nella società. La gentilezza non è debolezza, ma una forza straordinaria capace di cambiare il mondo. 
Insegnare l’empatia fin da piccoli.
Un bambino che impara a riconoscere e comprendere le emozioni diventerà un adulto più consapevole e rispettoso. L’educazione emotiva dovrebbe essere parte integrante del percorso scolastico, insegnando ai ragazzi a comunicare senza aggressività e a gestire i conflitti in modo sano.
Creare spazi di ascolto e dialogo. 
Troppi ragazzi si sentono soli, incompresi, e sfogano la loro frustrazione con atteggiamenti negativi. È fondamentale offrire loro ambienti in cui possano esprimersi senza paura di essere giudicati. 
Promuovere una cultura del rispetto.
Il rispetto non nasce dalla paura dell’autorità, ma dalla comprensione dell’altro. Se normalizziamo il bullismo e l’aggressività, i ragazzi li assorbiranno. Insegniamo invece il valore della collaborazione e del supporto reciproco.
Valorizzare gli atti di gentilezza.
Viviamo in una società che premia il successo individuale, ma dovremmo invece riconoscere il valore di chi aiuta gli altri, di chi costruisce legami sani. La gentilezza deve diventare una qualità da coltivare, non un gesto casuale.
Far capire che la gentilezza è una scelta consapevole.
Essere gentili non significa essere ingenui. È una decisione consapevole, un modo di vivere che porta benefici a sé stessi e agli altri. Purtroppo, si verificano troppi fatti di cronaca causati da una pessima gestione delle emozioni, non c’è più tempo! Serve un cambiamento educativo. Dobbiamo farlo, per i nostri figli e per le generazioni future. Se vogliamo un mondo migliore, dobbiamo insegnare ai ragazzi che la gentilezza è la vera forza capace di cambiare tutto.
Nella speranza di un mondo migliore, fatto di maggiore attenzione verso l’educazione emotiva,
ricordiamoci che il cambiamento parte da ognuno di noi. È necessario.
Asia Pichierri