Better man: il biopic di Robbie Williams
Sono una fan dei biopic, e questo è un dato di fatto. Amo assistere alla nascita delle storie, guardare da lontano il processo creativo dei grandi artisti.
Questo, però, mi rende particolarmente critica. Se ne producono tanti, troppi, rischiando di riproporre fantasticamente qualcosa di eccessivo. Succede quasi sempre, ma non stavolta.
La storia di Robbie Williams è quella di un ragazzino che vorrebbe essere apprezzato da suo padre, alla continua ricerca di quel “qualcosa” che possa farlo brillare. “Ho quel qualcosa?” chiede un piccolo Robbie a sua nonna in una scena del film, dove, nei panni di una scimmia – lo stesso Williams aveva dichiarato di non essersi mai sentito troppo evoluto – si ritrova a fare i conti con la voglia di brillare e la difficoltà a capire la sua strada. La sua luce è già visibile, tanto da farlo approdare molto presto nei Take That. Lui è un ragazzino, troppo sfacciato e troppo impertinente. Quel “troppo”, però, sarà la chiave del suo successo. E poi i momenti di crollo, le droghe, la relazione con Nicole Appleton, l’amicizia con gli Oasis – la stessa Nicole, poi, intraprenderà una relazione con Liam Gallagher – e la musica, la sua vera compagna di vita.
Per finire, una musica che si lega perfettamente al resto del film, creando una particolare e magica unione priva di disconnessioni. Il biopic di Michael Gracey è sfrontato, senza peli sulla lingua, proprio come quel folle protagonista di una scena sola: la sua.
Asia Pichierri
