Caporalato: rumeni vivevano in condizioni di quasi schiavitù

Condividi

I Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Taranto, della Compagnia di Castellaneta (TA) e della Stazione di Marina di Ginosa (TA), con il supporto di un elicottero

del 6° Elinucleo Carabinieri di Bari Palese e del Nucleo Carabinieri Cinofili di Modugno, hanno eseguito, nei comuni di Castellaneta e Ginosa, due provvedimenti cautelari in carcere emessi dal GIP del Tribunale di Taranto, dott. Giuseppe TOMMASINO, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica di Taranto, dott.ssa Giorgia VILLA, nei confronti di S.F., 43enne di Ginosa Marina e di P.M.A., 25enne rumeno, ritenuti responsabili, a vario titolo, di intermediazione illecita di manodopera e sfruttamento del lavoro aggravata, estorsione, furto aggravato, lesioni personali, tentata violenza privata in concorso.
E’ stato contestualmente eseguito il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca (secondo quanto previsto dal nuovo impianto normativo anticaporalato), dell’immobile utilizzato come alloggio dei lavoratori e dei due mezzi utilizzati per il trasporto degli stessi sul luogo di lavoro, per un valore complessivo di circa 300.000,00 euro.

Le indagini hanno portato,inoltre, alla denuncia in stato di libertà alla competente Autorità Giudiziaria, di altri tre rumeni, accusati di avere, in concorso con il 25enne tratto in arresto, provocato lesioni personali ad un loro connazionale durante una “spedizione punitiva” susseguente alla segnalazione da lui fatta alla Polizia Giudiziaria sulle irregolarità e i soprusi in atto.

L’indagine ha avuto inizio in seguito alla denuncia formalizzata da alcuni rappresentanti sindacali, in nome e per conto di cinque lavoratori rumeni, all’inizio di febbraio 2017. E’ stata predisposta un’attività di osservazione e riscontro, in stretta sinergia fra i Carabinieri del NIL di Taranto e quelli della Stazione di Marina di Ginosa, che ha consentito, in breve tempo, di accertare l’esistenza di un sistema consolidato di sfruttamento di almeno 35 lavoratori i quali, una volta reclutati, sono stati occupati “in nero” in condizioni disumane ed in straordinaria violazione dei contratti collettivi di lavoro nazionali e provinciali.

La mirata attività di riscontro ha consentito in particolare di evidenziare la condizione di disagio ed umiliazione posta in essere dai due arrestati, ai danni di lavoratori stranieri per lo più rumeni che, sistematicamente, erano costretti a lavorare tutti i giorni, senza riposo e ferie, fino a diciassette ore al giorno, con una paga oraria pattuita di non più di 4,00 euro all’ora e che nella realtà comunque non era mai superiore a duecento euro al mese, al netto delle spese che gli stessi erano costretti a rimborsare, sia al datore di lavoro, sia al suo fido “caporale”, per il posto letto, per le sigarette, per i generi alimentari e di prima necessità, oltre a quelle per il trasporto. I lavoratori, privati della propria dignità, erano così soggiogati in un sistema lavorativo che li ha sostanzialmente esclusi dalla società e relegati a sopravvivere in attesa di tempi migliori.

Particolarmente indicativo dello stato di degrado in cui versavano i lavoratori è stato accertare che gli stessi erano, altresì, costretti ad espletare le proprie necessità fisiologiche all’aperto e a usufruire per soli cinque minuti al giorno delle docce in modo promiscuo e contemporaneo.

Durante le indagini, con l’ausilio di personale del competente servizio di igiene e sanità pubblica, è stata certificata l’antigienicità e inabitabilità della casa rurale, presso la quale alloggiavano i lavoratori, tant’è che si è reso necessario un provvedimento di sgombero, imposto dall’assenza di servizi igienici e di idonei locali doccia. Inoltre, grazie all’intervento di una squadra dell’ENEL, sono stati scongiurati eventi lesivi di natura elettrica connessi alla vetustà ed inadeguatezza dell’impianto elettrico che era stato abusivamente allacciato alla rete pubblica.

Secondo le contestazioni dell’accusa, il datore di lavoro – S.F., impiegava in nero o comunque irregolarmente, lavoratori rumeni quali braccianti agricoli, in condizione di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno, costringendoli in condizioni abitative e igienico – sanitarie assai degradanti, in piena difformità ai contratti collettivi nazionale e provinciale, estorcendo la prestazione lavorativa, con la minaccia di violenza fisica e di interruzione del rapporto di lavoro.
Lo stesso è responsabile anche di furto di energia elettrica mediante allaccio abusivo e posticcio di un bypass elettrico applicato direttamente sul palo della rete pubblica, al fine di fornire energia elettrica al casolare ove aveva deciso di stipare i suoi lavoratori.

Il caporale, P. M. A., di nazionalità rumena, è accusato di aver reclutato sistematicamente manodopera, al fine di destinarla al lavoro in condizioni di sfruttamento, garantendone l’impiego in condizioni degradanti con metodi di sorveglianza assai rigidi e anche mediante intimidazione, consistita nell’avere minacciato l’interruzione del rapporto di lavoro in caso di rendimento non adeguato o tempi di lavorazione non conformi alle sue disposizioni, estorcendo la loro prestazione lavorativa e costringendo i suoi connazionali a subire minaccia e violenza fisica, così come realmente accaduto in almeno due occasioni, in concorso con altri tre connazionali.

In tali circostanze, avrebbe procurato fratture al volto di un lavoratore e lesioni politraumatiche al volto e all’addome di una giovane lavoratrice.

Nel complesso, l’intera attività portata avanti – ognuno per la parte di propria competenza – dai Carabinieri del NIL di Taranto e della Stazione di Marina di Ginosa, ha consentito di accertare numerose violazioni in materia giuslavoristica (ammontano infatti a 114.000,00 euro le sanzioni amministrative in contestazione), numerose e gravi violazioni di natura prevenzionistica (411.000,00 euro sono infatti le ammende oggetto di contestazione nell’ambito delle violazioni al Testo Unico in materia di Salute e Sicurezza sui luoghi di lavoro), nonché un’evasione contributiva complessiva di circa 3.886.000,00 euro.
A questi risultati si è giunti dopo un attento e meticoloso accertamento de visu dei tempi di lavoro, dal rinvenimento in fase di accesso ispettivo di una contabilità parallela ed anche dalle risultanze delle perquisizioni e sequestri effettuati nel corso dell’intera attività d’indagine, curata fin nei minimi particolari dai militari.