Il video del molo di San Pietro in Bevagna forse di epoca romana. Ci sarà spedizione scientifica

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“Impressionante”. E’ stata la prima parola scritta dal prof. Giuliano Volpe, archeologo e accademico e professore ordinario di archeologia presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Foggia,
interessato dal prof. Fabio Matacchiera circa la sua eccezionale scoperta nelle acque di San Pietro in Bevagna.
Secondo gli esperti, spiega Matacchiera, i blocchi allineati ritrovati al largo di San Pietro in Bevagna potrebbero essere realmente quelli che costituivano un molo antico, forse riconducibile al periodo romano, poi ricoperto dalle acque nel corso dei millenni. Matacchiera prima ha informato la Soprintendenza Archeologica della Puglia con sede a Lecce, inviando foto ed informazioni attraverso la posta certificata.
Poi, in questi giorni, oltre ad aver acquisito altri dettagli con l’utilizzo di un drone ha contattato numerosi archeologi e cattedratici ai quali ha sottoposto il materiale raccolto. “Nessuno di loro era al corrente dell’esistenza di questa imponente struttura sommersa al largo di San Pietro in Bevagna e tutti mi hanno parlato di una scoperta che potrebbe rivelarsi molto importante. Un ex dirigente archeologo di esperienza riconosciuta della città di Taranto, consultatosi con altri suoi colleghi, avanza l’ipotesi di un molo del periodo ellenistico dalle dimensioni importanti. Sicuramente la scoperta merita approfondimenti e sta suscitando molto interesse tra gli archeologi. Il prof. Giuliano Volpe proprio oggi ha comunicato che organizzerà, nei prossimi giorni, una spedizione, con i suoi ricercatori, per fare luce sul ritrovamento di San Pietro in Bevagna. Matacchiera ha inoltre contattato altri numerosi esperti la dott.ssa Rita Auriemma, docente e ricercatrice presso la Facoltà di Beni Culturali dell’Università degli Studi di Lecce, anche lei intenzionata a fare un sopralluogo; il Prof. Mario Lazzarini, noto archeologo subacqueo; il Prof. Andrea Belluscio, docente presso il Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università “La Sapienza” di Roma. “Ho chiesto se avesse mai visto simili strutture in natura, adagiate sui fondali marini, durante le sue innumerevoli ricerche nei mari di tutto il mondo, – dice ancora Matacchiera – ma anche lui ha affermato di non aver mai visto nulla del genere di naturale”.
Matacchiera fornisce anche alcuni dettagli dell’imponente opera: “si riesce ad intuire che il presunto molo debba aver avuto una lunghezza di circa 240 metri, una misura veramente importante, considerando che altre opere simili, rinvenute nel Mediterraneo, solitamente non superavano i 150 – 180 metri. La larghezza, invece, doveva attestarsi sui 20 metri. I lati dei blocchi variano da 1 metro fino a 4 metri. Hanno forma pressoché parallelepipedale con spigoli stondati o hanno forma abbastanza irregolare, comunque sia, risultano in buona parte ben assemblati ed in fila tra loro, separati da un intercapedine. Si trova a 7 metri di profondità. L’opera è esattamente parallela alla linea di costa, si trova al largo ad una distanza che per motivi di sicurezza non è stata precisata.
“Il fatto che l’opera si trovi ad una distanza di diverse centinaia di metri dalla costa – afferma ancora Matacchiera – non deve spegnere l’entusiasmo di chi, come me, vuol credere che effettivamente lì si trovi un pezzo importante di storia antica della nostra regione. Infatti, si sa con certezza, così come riportato dalla letteratura scientifica, che la linea di costa ha avuto nel corso dei secoli notevoli variazioni, sia dal punto di vista morfologico che orografico, con avanzamenti e arretramenti anche di diverse centinaia di metri. Tutto ciò renderebbe più plausibile la possibilità che quella opera, un tempo, potesse essere emersa, considerando anche le oscillazioni del livello del mare nel corso dei millenni.”

Foto e video del prof. Fabio Matacchiera