Manduria: La marcia civile? E’ un simbolo ma non la soluzione. I consigli della sociologa

Condividi

“Una sociologa in casa, non può che far bene e non può stare in silenzio o forse proprio non ci riesce anche
pensando di rischiare di farsi attribuire l’etichetta della “presuntuosa” che intende sottrarre competenze e
responsabilità.
Bene, dichiaro che la mia unica volontà è quella di fornire un contributo ed una collaborazione per
migliorare le informazioni e rimodulare gli sconvolti processi di gestione del territorio.
Ragioniamo su … per chi non conosce la comunità è chiaro che è facile saltare a delle conclusioni,
spiazziamoli e non condanniamoli e diamo loro ciò che vogliono: la nostra strategia di intervento per il bene
della comunità.
In questi giorni si chiede e si è chiesto a vari testimoni privilegiati della città di Manduria pareri, interventi,
o semplici spiegazioni. Beh, domande ingenue in quanto non è facile per nessuno destreggiarsi nella
complessità e quindi non stiamo neanche a giudicare chi ci è riuscito meglio, perché mai e poi mai si può
uscire da soli da queste situazioni o pensare a singoli interventi e perché occorre attivare una capacità di
mediazione e di intervento comune che si acquisisce solo nel tempo e con una debita formazione.
Cominciamo sul “Cosa penso della marcia civile?” Sì, una grande e utile opera simbolica ma non è fornire
la soluzione.
Se ho un’idea di soluzione? Sì per adesso la più semplice.
Acquisire l’atteggiamento dell’#iocisono e tu? Abbandoniamo tutto ciò che non risolve, che annulla, ogni
passività racchiusa nello categoria “Ignoro, tanto non posso risolvere” oppure “vediamo come lo risolvono”
oppure “non sono io che posso offrire una soluzione” e ciò che è peggio il cieco puerile ottimismo del
“Non ci sono problemi da risolvere”. Ignorando i problemi ricominciamo ad ignorare le persone e ignorando
le persone distruggiamo le relazioni che sono l’unico materiale vivo per vivacizzare e accrescere il senso di
civico di una comunità.
Manduria deve riscattarsi da questa brutta storia e deve farlo riflettendo su se stessa individuando le “buone
pratiche” da mettere in atto che sono solo pratiche diverse da quelle che l’hanno resa col tempo e con
l’impegno di molte brave persone, cioè un folto gruppo di cittadini e cittadine socialmente complici e
responsabili, una città densa di iniziative, di solidarietà e di rispettosa accoglienza.
Quindi ricordiamo che ignorare no, non è una soluzione, perché ignorando il problema, ignoriamo il
bisogno. Reagire sì, ma con assertività che non significa essere miti, ma significa essere “miti con
l’interlocutore e duri sul problema”.
Se vogliamo uscire da questa brutta storia cominciamo ad assumere l’atteggiamento del “giudice saggio”
che accoglie la ragione da tutti,in quanto è l’unico modo per comprendere ed agire.
Quindi primo passo da fare come esercizio quotidiano: ritorniamo amici, incontriamoci in giro, sappiamoci
raccontare, stringiamoci la mano, chiamiamoci per nome.
Dr.ssa Loredana Ingrosso
Sociologa per missione.”