La Salva-Ilva non incide sull’accertamento delle responsabilità – le motivazioni della Consulta

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Depositata in Cancelleria, la sentenza del 9 aprile scorso con la quale la Corte Costituzionale ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti della cosiddetta legge ‘salva-Ilva’. Nelle motivazioni della sentenza si legge che ”Nessuna” delle norme censurate ” è idonea ad incidere, direttamente o indirettamente, sull’accertamento delle responsabilità” e ”spetta naturalmente all’autorità giudiziaria, all’esito di un giusto processo, l’eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge”. ”Nella fattispecie oggetto del presente giudizio, non sussiste alcuna lesione della riserva di giurisdizione” e le disposizioni censurate – precisa la Consulta – ”non cancellano alcuna fattispecie incriminatrice nè attenuano le pene, nè contengono norme interpretative e/o retroattive in grado di influire in qualsiasi modo sull’esito del procedimento penale in corso”,. L’intervento del legislatore, che, ”con una norma singolare, autorizza la commercializzazione di tutti i prodotti, anche realizzati prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012, rende esplicito un effetto necessario e implicito della autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, giacchè non avrebbe senso alcuno permettere la produzione senza consentire la commercializzazione delle merci realizzate, attività entrambe essenziali -viene evidenziato- per il normale svolgimento di un’attività imprenditoriale.

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Distinguere tra materiale realizzato prima e dopo l’entrata in vigore del decreto-legge sarebbe in contrasto con la ratio della norma generale e di quella speciale, entrambe mirate ad assicurare la continuazione dell’attività aziendale, e andrebbe invece nella direzione di rendere il più difficoltosa possibile l’attività stessa, assottigliando le risorse disponibili per effetto della vendita di materiale non illecito in sè, perchè privo di potenzialità inquinanti. La norma generale censurata ”non si pone in contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., perchè non introduce – come invece affermano i rimettenti – una ingiustificata differenziazione di disciplina tra stabilimenti ”strategici” e altri impianti, sulla base di un atto amministrativo – un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – dotato di eccessiva discrezionalità, derivante dalla genericità dei criteri di individuazione di tali stabilimenti”, afferma ancora la Consulta nella sentenza. ”L’interesse strategico nazionale ad una produzione, piuttosto che ad un’altra, è elemento variabile, in quanto legato alle congiunture economiche e ad un’altra serie di fattori non predeterminabili (effetti della concorrenza, sviluppo tecnologico, andamento della filiera di un certo settore industriale etc.). Si giustifica pertanto -conclude la Corte costituzionale- l’ampiezza della discrezionalità che la norma censurata riconosce al Governo, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto organi che concorrono a definire la politica industriale del Paese. Trattandosi, peraltro, di provvedimento amministrativo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri può essere oggetto di impugnazione”