Ilva: chiuse le indagini, tra i 53 indagati anche Vendola e Stefàno

Condividi

Sono complessivamente 53 gli indagati dell’inchiesta denominata “Ambiente Svenduto” legata al disastro ambientale provocato dall’Ilva di Taranto.
I Militari della Guardia di Finanza hanno notificato in Puglia e in altre zone d’Italia l’avviso di chiusura delle indagini preliminari nei confronti di dirigenti, funzionari e politici.
Il provvedimento è stato firmato dal procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, dal procuratore aggiunto, Pietro Argentino, e dai sostituti procuratori Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile, Remo Epifani e Raffaele Graziano. Quest’ultimo è titolare di due fascicoli d’inchiesta inglobati nell’inchiesta madre e relativi ad incidenti mortali verificatisi all’Ilva di Taranto. I reati contestati a vario titolo agli indagati vanno dall’associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’emissione di sostanze inquinanti con violazione delle normative a tutela dell’ambiente.
Tra gli indagati figurano nomi eccellenti: è accusato di concussione in concorso il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, che così come era già emerso dagli atti dell’accusa nei mesi scorsi, avrebbe tentato di neutralizzare il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, indomabile dall’azienda. Tra gli altri politici l’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro, l’ex assessore (e ora parlamentare Sel) Nicola Fratoianni, il sindaco di Taranto (Sel) Ippazio Stefàno, il consigliere regionale tarantino Donato Pentassuglia (Pd), oltre all’ex presidente della Provincia Gianni Florido (Pd) e all’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (Pd), già destinatari nei mesi scorsi di ordinanze di custodia cautelare. Non mancano i proprietari dell’Ilva, il patron Emilio e i figli Nicola e Arturo Fabio Riva (quest’ultimo si trova in Inghilterra), i cosiddetti “fiduciari” dell’azienda Lanfranco Legnani, per la procura il “direttore ombra” dello stabilimento, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino, Enrico Bessone e tre importanti dirigenti regionali; l’ex capo delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, i due ex direttori dello stabilimento Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo un ex consulente della Procura, un sacerdote. Nell’indagine figurano anche il capo di gabinetto del presidente Vendola, Davide Pellegrino, il dg e il direttore scientifico dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato e Massimo Blonda, l’ex capo di gabinetto di Vendola, Francesco Manna, e il dirigente del settore ambiente della Regione Puglia Antonello Antonicelli. Avviso di conclusione delle indagini anche per l’ex prefetto Bruno Ferrante amico della famiglia Riva, che venne nominato presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante di Ilva Spa a luglio del 2012 poche settimane prima che venissero arrestati, proprio in relazione all’inchiesta, gli ex vertici dell’azienda. Ferrante e’ accusato, grosso modo, degli stessi gravi reati di natura ambientale contestati ai responsabili dell’azienda negli anni precedenti (dal 1995 all’estate del 2013).

Tra i 53 avvisi di conclusioni delle indagini valevoli come informazioni di garanzia ci sono anche quelli a carico di indagati che rientrano nei due filoni d’inchiesta relativi agli infortuni mortali, avvenuti in azienda negli ultimi anni, quelli degli operai Claudio Marsella e Francesco Zaccaria. Marsella, locomotorista, morì schiacciato tra un respingente e un carro nel reparto Movimento ferroviario il 30 ottobre del 2012. L’accusa nei confronti dell’ex direttore dello stabilimento Adolfo Buffo, del capo area logistica operativa Antonio Colucci e del capo reparto Cosimo Giovinazzi è di cooperazione in omicidio colposo.
Francesco Zaccaria si trovava, invece, nella cabina di una gru per eseguire lavori nei pressi del molo quando fu investita da un tornado il 28 novembre 2012. La gru che, – scrivono i magistrati, “versava in pessimo stato di conservazione”, fu trascinata “sino all’impatto contro il fine-corsa lato mare”. Poi la cabina si sganciò e cadde in acqua da un’altezza di 60 metri provocando la morte dell’operaio. Il corpo di quest’ultimo venne ritrovato in mare due giorni dopo sepolto dal fango.
Per la Procura entrambi i casi furono determinati “da colpa generica consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. In occasione del tornado ci furono altri due operai feriti in modo serio nella stessa area. L’accusa, per Buffo e Colucci, e per Giovanni Raffaelli e il manduriano Giuseppe Di Noi, è di omicidio colposo, e per tutti questi, escluso Raffaelli, anche di lesioni colpose.

Leggi l’intero documento relativo all’avviso di conclusione delle indagini:
avviso conclusione indagini ilva

ilva 2